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GUGLIELMO WILSON



Che ne dirà essa mai? che dirà
questa spaventosa coscienza, questo
spettro che avanza sul mio cammino?

Chamberlayne, Farronida.



Desidero che, pel momento, mi sia concesso di chiamarmi Guglielmo Wilson.

La vergine pagina, che mi sta aperta dinanzi, non dev’essere lordata dal mio vero nome. Pur troppo, questo nome è stato quasi sempre un oggetto di sprezzo e d’orrore, — un truce abbominio per la mia famiglia. E che? — Non è egli dunque vero che anche gli stessi venti, sdegnatine, ne portarono sino alle più lontane regioni la sua infamia incomparabile? Me misero! — dei proscritti il più proscritto di tutti! — Non sei tu dunque eternamente morto a questo basso mondo? Non si è forse eternamente interposto un fitto velo, una nube lugubre ed illimitata tra le tue già sì belle speranze ed il cielo?