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e nondimeno un’effusione d’intensi raggi vibrava da un capo all’altro del misterioso silo, e tingeva il tutto d’uno splendore fantastico ed incomprensibile.

Ho fatto cenno dello stato squisitamente morvido del suo nervo acustico, — il quale facea sì che l’infelice non potesse reggere al suono di nessuno strumento, eccezione fatta di certi strumenti da corda. Lo che probabilmente derivava dagli stretti limiti imposti al suo talento nell’uso della chitarra; per cui era venuta alla maggior parte delle sue composizioni quel carattere altrettanto singolare quanto fantastico.

Ma non era certo dato, rendersi la stessa ragione per rispetto all’ardente facilità delle sue improvvisazioni: le quali bisognava evidentemente che consistessero — e, di fatto, consistevano — non tanto nelle note che nelle parole delle stesse stravaganti sue fantasie, (poich’egli di spesso accompagnava la sua musica con versi improvvisi e rimati) fossero il risultamento di un intenso immaginare e di quella concentrazione di forze mentali che, come già l’ebbi a dire, si manifestano soltanto in certi casi del più alto surreccitamento.

Delle quali rapsodie, una m’è rimasta fedelmente fissa nella memoria: e forse io ne restai così impressionato, quando la conobbi, perchè nell’intimo e misterioso senso di quella ballata io credetti per la prima volta intravedere che Usher aveva la piena coscienza del proprio stato, e ch’e’ sentiva la sublime e potente sua ragione vacillare sul proprio trono. I quali versi, che avevano per titolo Il palazzo incantato, suonavano a un di presso nel seguente modo: