il suo nome; e in tutto quest’intervallo io misi studio grandissimo ad attenuare la melanconia del mio amico. Dipingevamo e leggevamo assieme; ovvero, come assorto in dolci sogni, io me ne stava a godere le strane di lui improvvisazioni sulla chitarra. Per tal modo, grado a grado che un’intimità sempre più dichiarata immettevami con sempre più crescente famigliarità nei penetrali dell’animo suo, cresceva in me l’amarezza scorgendo ognor più frustranei i miei sforzi in ravvivare il desolato suo spirito, il quale — alla notte — quasi fosse stato un’intima sua speciale proprietà, tenendolo nella contemplazione del mondo fisico o morale, ravvolgeva costantemente il meschino in una tenebra profonda, invincibile, fatale. — Io avrò sempre lì lì presente su gli occhi della mente i ricordi delle molte e molte ore solenni passate nella solitaria compagnia del proprietario della casa Usher: e pure io mi studierei invano di definire l’esatto carattere degli studj o delle occupazioni a cui, senz’avvedersene, Roderick mi traeva, e a cui bel bello m’incamminava. — Curioso! quella era un’idealità ardente, eccessiva, squisita, la quale irraggiava sulle cose tutte le sua sulfurea luce. Ahi, le lunghe e ferali improvvisazioni del mio amico risuoneranno sempre, come arpa di oltre tomba, nelle mie orecchie. In fra le altre cose, rammento ancora una parafrasi singolare, una strozzatura, un pervertimento direi meglio dell’arietta, già tanto strana, dell’ultimo valzer di Weber. Quanto poi alle pitture che venivan fuori dalla feconda sua fantasia e che, di tratto in tratto, destavano un non so che di mistico e di profondo, che mi faceva fremere, e fremere tanto più dolorosamente