Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 136 — |
remoto della camera, la quale, come non s’avvedesse della mia presenza, lentamente scomparve. Stetti a guardarla con istupore immenso, indescrivibile, misto a terrore indefinito; ma invero mal qui saprei rendermi conto degli stessi miei sentimenti. E mentre i miei occhi tenevan dietro a’ suoi passi, che man mano involavansi nell’ombra, mi sentiva venir meno per una sensazione d’alto stupore. In fine, quando mi accorsi ch’ell’era scomparsa dietro il silenzioso chiudersi di una porta, quasi per istinto e naturale curiosità, i miei occhi portaronsi sulla fisionomia del fratello; — ma questi aveva nascosto nelle mani la sua faccia, ond’io potei solamente accorgermi che un pallore straordinario erasi diffuso sulle scarne sue dita, nel cui vano vedevansi gemere lagrime continue e passionate.
Per lungo e lungo tempo la malattia di madamigella Maddalena aveva formato la disperazione e il dileggio de’ suoi medici. Un’apatia fissa, un graduale disfacimento della sua persona, crisi frequenti e passeggiere, di carattere quasi catalettico: eccone i diagnostici singolarissimi. Sino a que’ giorni ella aveva con fortezza sopportato la sua malattia, nè erasi ancora rassegnata al letto: ma al sopravvenire della sera del mio stesso arrivo al castello essa infine cedeva (fu il di lei medesimo fratello che me lo partecipò in quella notte tra un’agitazione inesprimibile) alla prepotente forza del male; e presentii che la muta e solenne occhiata ch’io le aveva gittato sopra, ben probabilmente sarebbe stata l’ultima; che io non avrei più potuto vedere questa donna, almeno vivente.
Ne’ dì seguenti, nè Ushér nè io proferimmo mai