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al perfezionarsi delle sue forme, sempre più io discopriva nuovi punti e nuove linee di rassomiglianza tra la fanciulla e la madre, la melanconia e la morte. E d’ora in ora, di momento in momento queste ombre di rassomiglianza spessivano, sempre più piene, definite, spiccate, più moleste, più spaventosamente terribili in loro aspetto. Conciossiachè, che il di lei sorriso s’assomigliasse al sorriso della madre, ben io poteva ammetterlo; ma questa somiglianza era tale identità che mi destava i brividi, che mi agghiadava d’orrore; — che i suoi fossero gli occhi di Morella, poteva ben io sopportarlo; ma ahi! troppo soventi e’ fissavansi, scrutatori sagacissimi, ne’ più intimi penetrali dell’anima, vi si fissavano con lo strano, l’intenso pensiero di lei, di lei stessa, Morella! E ne’ contorni della sua fronte spaziosa, nelle anella della chioma accurata, nelle pallide dita che per abito l’accarezzavano, nel grave e musical suono della sua parola, insomma, in tutto, — in tutto, — nelle frasi e nelle espressioni della morta sulle labbra dell’adorata, della viva, io trovava un alimento a un pensiero orribile, voratore, — a un verme che non voleva, ohimè! morire......

In questo modo trascorsero due lustri della sua vita, e mia figlia tuttavia perdurava a non avere nome sulla terra. Mia figlia e il mio amore erano i nomi abitualmente postimi in bocca dalle viscere di padre, nè il severo ritiro della sua vita ammetteva verun’altra relazione. Il nome di Morella era morto con Morella; nè della madre io aveva tenuto mai parola alla figlia; — mi sarebbe stato impossibile il tenerla. In realtà, durante il breve periodo della di lei esistenza, la figlia non ebbe