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more mai. E nondimeno essa fuggiva la società e, unendosi a me unicamente, resemi felice. — Vivo stupore d’animo tramutasi in gioja; e il fantasiare non è egli una felicità, il fantasiare?

L’erudizione di Morella era vasta e profonda. Nè i suoi talenti, come vedrassi, erano di second’ordine; — grande, proprio gigante la potenza dello spirito suo. Lo che ben vedeva, e sentiva, e in molte occasioni mi resi discepolo suo. Non tardai nullameno ad accorgermi che, in ragione della sua educazione compita a Presborgo, Morella mi faceva pompa di molti di que’ mistici scritti che sono generalmente tenuti come il fiore della principale letteratura germanica. Per ragioni a me incomprensibili, tali libri formavano il suo studio costante e favorito; e se dappoi anch’io mi volsi ad essi con tutta l’anima, è a trovarsene soltanto la ragione nel semplice ma efficacissimo influsso dell’abitudine e dell’esempio.

Se non piglio inganno, la mia ragione poco o punto entrava in queste cose. Le mie convinzioni (chè io più non mi riconosco), le mie convinzioni non traevan per niente lor radice dall’ideale, nè si sarebbe potuto scovrire (a meno ch’io grossolanamente non mi faccia gabbo) alcun pur lieve indizio di misticismo nelle mie letture, sia rispetto agli atti che a’ pensieri. Di che persuaso, m’abbandonai ciecamente alla direzione di mia moglie, immettendomi con cuor calmo e fidente nel labirinto degli studj suoi. E allora (quando cioè, tutt’assorto in quelle pagine maledette, sentiva in me vivificarsi uno spirto perverso e scelerato), allora ecco piantarsi a me d’innanzi Morella, Morella, la quale posando la fredda sua mano nella mia,