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quale la luna effondeva lo strano suo splendore. E la roccia era grigiastra, e sinistra, e altissima; — e la roccia era grigiastra! — Sopra il suo frontone, appariano impressi grossi caratteri; ed io stentatamente avanzava in mezzo a quel padule di ninfee, anelo di toccare la sponda e poter così leggere distinte le lettere impresse sulla pietra. Invano! — non riuscii a decifrarle. Ed io stava per immettermi ancora nel mezzo del padule; quand’ecco la luna brillare d’un rosso suo più vivo; e mi rivolsi, e nuovamente guardai verso il masso e verso i caratteri; — e i caratteri dicevano: Desolazione!
E dirizzai più in su lo sguardo, ed a sommo della roccia vidi immobile un uomo; e tosto, a spiare le di lui azioni, mi nascosi tra le ninfee. Grandi e maestose erano le sue forme, e dalle spalle a’ piedi era egli avvolto solennemente nella toga dell’antica Roma. I contorni della sua persona, indistinti, — ma le sue linee, quelle d’una vera divinità; avvegnacchè, malgrado le ombre della notte, e la nebbia, e la luna, e la rugiada, i contorni del volto brillasser di luce. Ed alta e grave di pensieri la sua fronte, ed il suo occhio, come per affanno, torbido; e nelle ampie rughe delle sue guancie io lessi le leggende dell’affanno, della fatica, del disgusto dell’umanità, e d’una grande aspirazione alla solitudine.
E l’uomo si assise sulla roccia, e la testa appoggiava sulla mano; — e discorse lo sguardo sopra quella desolazione. Osservava gli alberelli irrequieti e que’ grandi alberi primitivi; più in