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di collocarne. Il servizio era fatto da molti domestici attivissimi, e su una grande pedana in fondo alla sala stavano sedute sette od otto persone con dei violini, dei flauti, dei tromboni e un tamburo. Costoro, ad intervalli, durante il pasto, mi stancarono assai con un’infinita varietà di rumori che avevano la pretesa di essere musica, e che, a quanto sembrava, davano un piacere vivissimo a tutti i presenti, me eccettuato.

Insomma, non potevo astenermi dal pensare che ci fosse alquanta bizzarria, in tutto ciò che vedevo; ma, dopo tutto, il mondo è pieno di ogni sorta di gente, che ha modi di pensare svariatissimi e una quantità di usanze assolutamente convenzionali. E poi avevo viaggiato troppo per non essere convinto dell’opportunità di nil admirari... Mi sedetti dunque tranquillamente a destra del mio anfitrione, e, approfittando di un eccellente appetito, feci onore a tutta quell’abbondanza. La conversazione, frattanto, era animatissima e generale. Le signore, secondo la loro abitudine, parlavano molto.

Compresi in breve che quasi tutti i presenti erono persone ammodo; e che il mio ospite era, da solo, un vero tesoro di aneddoti gai. Pareva che egli fosse particolarmente disposto a parlare della sua condizione di direttore di un asilo di alienati, e, con mia grande sorpresa, la pazzia, appunto, divenne l’argomento preferito della conversazione.