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sto, sapendomi a tavola con dei pazzi. Ma mi ricordai che qualcuno mi aveva parlato, a Parigi, dei provinciali del Mezzogiorno, come di gente particolarmente eccentrica, un po’ maniaca per certe vecchie idee; e, d’altronde, conversando con qualche commensale, sentii in breve dissiparsi completamente le mie apprensioni.
La sala da pranzo, quantunque fosse ampia e comoda, non aveva tutte le eleganze desiderabili. Per esempio, mancava il tappeto sul pavimento; ma, d’altronde, in Francia, spesso se ne fa a meno. Le finestre erano prive di tende; le imposte, quando erano chiuse, mostravano delle solide sbarre di ferro, come le chiusure delle botteghe. Osservai che quella sala costituiva, da sola, una delle ali del castello, e che le finestre occupavano tre dei lati del parallelogrammo, mentre la porta si apriva nel quarto lato. Le finestre erano almeno dieci.
La tavola era apparecchiata splendidamente, e sovraccarica di ghiottonerie. Era una profusione veramente barbarica. Mai, in vita mia, avevo visto un sì mostruoso sfoggio, un sì stravagante sperpero di tutte le buone cose possibili. Tutto però, era disposto con poco buon gusto — e i miei occhi, assuefatti alle luci tenui, si sentivano crudelmente offesi dallo straordinario splendore di una gran quantità di candele accese in candelabri numerosissimi, sulla tavola e in ogni parte della sala, dovunque si fosse trovato modo