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che di vedere delle tracce di dolore sul suo volto, il cui estremo pallore costituiva, almeno secondo me, un’attrattiva di più. Quella donna era, d’altronde, in gran lutto, e mi destò nel cuore un sentimento complesso di rispetto, d’interesse e di ammirazione.

Avevo sentito dire a Parigi che lo stabilimento del signor Maillard era organizzato secondo quello che si chiama volgarmente il sistema della dolcezza; che vi si evitava l’impiego di tutte le punizioni; che non vi si ricorreva, se non molto raramente, alla reclusione; che gli ammalati, sorvegliati di nascosto, vi godevano, apparentemente, di una grande libertà e che potevano, quasi tutti, aggirarsi per la casa e pei giardini come persone in condizioni normali.

Avendo in mente tutti questi particolari, stavo molto attento a ciò che potevo dire davanti alla giovane signora, poichè non ero sicuro che ella non fosse ammalata, e poichè infatti i suoi occhi avevano una certa lucentezza inquieta che quasi m’induceva a pensare ch’ella fosse pazza. Limitai dunque le mie osservazioni a degli argomenti generali, o ad altri che giudicavo non potessero dispiacere ad un essere privo di ragione, nè irritarlo. Ella rispose a tutto ciò che le dissi, in un modo perfettamente assennato, e anzi notai che le sue osservazioni personali rivelavano il più solido buon senso. Ma un lungo studio della fisiologia della pazzia mi aveva insegnato a non