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— Ghe ha il mio fendre? — guairono tutti i ragazzini. — Ho vame cià ta hun’ora!
― Ghe ne zarà tei miei gàfoli? — gridarono tutte le dône; — tefono ezzere in boldiglia cià ta hun’ora!
— E la mia biba?! — imprecarono tutti i vecchiotti. — Ber mille vulmini! tef’ezzere sbenda da hun’ora!
E riempirono rabbiosamente le pipe, e, sprofondandosi nelle poltrone, soffiarono con tanta rapidità e tanta ferocia, che tutta la valle fu immediatamente coperta da un’impenetrabile nuvola.
Frattanto, i cavoli diventavano tutti d’un rosso purpureo; e, quanto agli orologi, sembrava che il vecchio Diavolo in persona si fosse impossessato di tutto ciò che ne aveva la forma. Le pendole scolpite sui mobili si mettevano a ballare come se fossero stregate, mentre quelle che erano sui caminetti potevano appena frenarsi nel loro furore e si accanivano a suonare ostinatamente: Dretizi! Dretizi! Dretizi! con tale agitazione, con tale ballonzolìo dei loro bilancieri, che era una cosa veramente spaventosa da vedere! Ma, quel ch’è peggio, i gatti e i maiali non potevano più sopportare l’ignominiosa condotta degli orologetti a ripetizione legati alle loro code, e manifestavano la loro irritazione correndo tutti a gambe levate verso la piazza — raspando e grufolando — gridando e urlando, in un vero sabba