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tutti gli orologi di tutti i ragazzi e tutti i giocattoli dorati pendenti dalle code dei gatti e dei maiali.

— Due! ― continuò la grossa campana.

Ttue! — ripeterono tutti gli echi meccanici.

— Tre! quattro! cinque! sei! sette! otto! nove! dieci! ― disse la campana.

Dre! guaddro! zinque! zei! zedde! hoddo! nofe! tiezi! — risposero gli altri orologi.

― Undici! — disse la campana grande.

Huntizi! — approvò tutta la marmaglia dell’orologeria minore.

— Dodici! ― disse la campana.

Totizi! — risposero tutti gli orologi, perfettamente soddisfatti, lasciando calare in cadenza le loro voci.

Tungue, è mezzociorno! — dissero tutti i vecchiotti, rimettendosi in tasca gli orologi.

Ma la campana non aveva ancora finito.

Tredici! — disse.

Tarteifle! — ansimarono tutti i vecchiotti, impallidendo e lasciando cadere, tutti, la pipa di tra i denti e la gamba destra giù dal ginocchio sinistro. — Tarteifle! — gemettero. — Dretizi! Dretizi! Mein Gott! Zono le dretizi!

Come potrei tentare di descrivere la terribile scena che seguì? Tutto Vondervotteimittiss scoppiò ad un tratto in un penosissimo tumulto.