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stupefatto, stava fumando, in un atteggiamento dignitoso e sgomentato. Ma il tristanzuolo anzitutto l’afferrò pel naso, glielo scosse e glielo tirò, gli cacciò in testa il suo gran gibus, glielo calcò fin sulla bocca, poi, brandito l’enorme violino, lo picchiò con questo tanto a lungo e sì forte, che — essendo quell’uomo grassissimo, ed ampio e profondo il violino — chiunque avrebbe giurato di udire, nella torre campanaria di Vondervotteimittis, il rullare infernale di tutto un reggimento di tamburi.

Non si sa a quale atto disperato di vendetta quel delittuoso assalto avrebbe potuto spingere i borghigiani, se, fatto importantissimo, non fosse mancato soltanto un secondo allo scoccare di mezzogiorno. La campana stava per suonare, ed era una necessità assoluta e superiore che ognuno tenesse fissi gli occhi sul proprio orologio. Era evidente, tuttavia, che proprio in quel momento il ribaldo, cacciatosi nella torre, se la prendeva con la campana, immischiandosi di cosa che non era affar suo. Ma, siccome la campana cominciava già a suonare, nessuno aveva tempo di sorvegliare le manovre del traditore, poichè ognuno era tutt’orecchie per contari i rintocchi.

— Uno! — disse la campana.

Huno! — replicò ogni vecchiotto di Vondervotteimittiss, in ciascuna poltrona dal cuscino di cuoio. — Huno! — disse l’orologio di ciascuna delle massaie, e; — Huno! — dissero