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esaltata ammirazione, che deve sorprendere in un uomo, quale Baudelaire, di gusto estremamente difficile, quando ci si arresti a una mera considerazione letteraria, giace invece in un punto più profondo. In tutta la vita e l’opera di Poe, si avverte, come una cupa nota tenuta, il dominio di una unica fatalità e ossessione, quella da lui descritta (si leggano in questo volume le pagine che vanno sotto quel titolo) come il «Demone della perversità»; quell’insopprimibile, primitivo e profondo gusto del male che sta in agguato in fondo all’animo dell’uomo, che sorge improvviso a contrastare ai suoi migliori impulsi, a neutralizzare i suoi sforzi di volontà, che talvolta lo spinge con voluttà alla propria distruzione. A Baudelaire, cui non v’ha dubbio tale straniero e ingovernabile movente si fosse già temibilmente manifestato, poichè nella sua istintiva e sofferta adesione alla dottrina del peccato originale sia appunto il cardine del suo cattolicismo tragico, la rivelazione dell’opera e della vita di Poe dovette giungere come un segno provvidenziale, come una incarnazione luminosa di quella «postulazione simultanea verso il cielo e verso l’inferno» che venne sempre più apparendogli costitutiva dell’animo umano. Quella misteriosa contraddizione, in virtù della quale tutti i migliori im-


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