Pagina:Poe - Perdita di fiato, traduzione di A.C. Rossi, Bottega di Poesia, Milano, 1922.djvu/19

nare quei luoghi, poichè a questo ero ben deciso. Sotto un clima straniero, e sconosciuto, avrei potuto tentare con qualche probabilità di successo di nascondere la mia sventurata calamità, una calamità fatta apposta, più ancora che l’estrema miseria, per alienare le simpatie della moltitudine e per attirare sullo sciagurato la meritatissima indignazione dei virtuosi e felici. Non esitai a lungo. Colla mia facilità naturale, mandai a memoria l’intera tragedia del Matamoro.

Ebbi la fortuna di ricordarmi che nell’accentuazione di questo dramma, o almeno di quella parte che è assegnata all’eroe, i toni di voce dei quali mi trovavo a mancare erano perfettamente inutili, e che il gutturale profondo doveva monotonamente regnare dal principio alla fine.

Mi esercitai per qualche tempo lungo le rive di una palude ben frequentata; non già, tuttavia, riferendomi a un simile procedimento di Demostene, ma con un piano peculiariamente e coscienziosamente mio. Armato così di tutto punto, decisi di far credere a mia moglie di esser improvvisamente colpito da una passione per la scena. E la mia riuscita fu veramente miracolosa; ad ogni domanda o insinuazione mi trovai libero di rispondere, nei miei toni di voce più chiocci e sepolcrali, con qualche