Pagina:Poe - Perdita di fiato, traduzione di A.C. Rossi, Bottega di Poesia, Milano, 1922.djvu/164


del «vecchio Carletto» li portò subito a riflettere su questo punto, e così fece loro intravvedere la possibilità che queste minacce non fossero state altro che delle minacce. E subito, di conseguenza, sorse la naturale domanda: «cui bono?» una domanda che, più ancora che non il panciotto, tendeva ad incolpare il giovane del terribile delitto. E qui, ad evitare di essere inteso male, permettetemi una breve disgressione, soltanto per osservare che la frase latina estremamente breve e semplice che io ho impiegato, è invariabilmente mal tradotto e male interpretata. «Cui bono?» in tutti i romanzi celebri nonchè altrove — in quelli per esempio, della signora Gore, (l’autrice di Cecilia) una signora che cita tutte le lingue, dal caldeo al Chickasaw, ed è aiutata nella sua cultura, «al bisogno», secondo un piano sistematico, dal sig. Beckford, — in tutti i romanzi celebri, dico, da quelli di Bulwer e Dickens a quelli di Turnapenny e di Ainsworth, a quelle due piccole parole latine, cui bono, si da il senso di: «a quale fine?» o, in luogo di quo bono, «a che scopo?». Il loro vero significato, nondimeno, è «a vantaggio di chi?» Cui, a chi; bono, riesce di vantaggio? È una frase strettamente legale e applicabile precisamente in casi simili a quello che stiamo ora considerando, nei quali