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pensiero paralizzante, in realtà, finì per prendere intero possesso del mio animo. Non potevo parlare, nè pensare, nè sognare d’altro. Il mio ospite era d’un temperamento meno eccitabile, e sebbene il suo spirito fosse grandemente depresso, egli si adoperava a sostenere il mio. Il suo intelletto spiccatamente filosofico non fu mai, in alcun momento, impressionato da cose irreali. Era prontamente sensibile a quanto ci fosse di sostanziale alla radice di certi terrori, ma le ombre non avevano presa su di lui.

I suoi sforzi per scuotermi da quella condizione di anormale tristezza erano in gran parte frustati da certi volumi che avevo trovati nella sua libreria di carattere molto proprio a far schiudere violentemente tutti i germi di superstizione ereditaria che potessero giacere latenti nel mio petto. Avevo letto quei libri a sua insaputa, e così egli spesso non sapeva rendersi alcun conto di ciò che aveva così fortemente impressionato la mia fantasia. Uno dei miei soggetti preferiti era la credenza popolare nei presagi: una credenza che a quell’epoca della mia vita io mi sentivo quasi seriamente disposto a difendere. Su questo soggetto avemmo delle lunghe ed animate discussioni, sostenendo egli la completa mancanza di fondamento di