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ce e anco amaro: acciocchè la possanza dei pensieri che muove dalla mente, ricevuta quivi come in ispecchio che prende postille e fa imagini agli occhi, paura le dia allora ch’ella, usando dell’amarezza che è nel fegato e appressandosegli con rigido viso, minacci; e, la detta amarezza per tutto esso rimescolando finamente, mostri colori di bile; e, costringendolo, lo innasprisca ed arrughi; e insieme il1 lobo istorcendo dalla sua diritta postura, e i ricettacoli2 e le porte3 assiepando e rinserrando, gli faccia doglia ed ambascia. Per lo contrario, allora che nel fegato alcuna dolce aura della Ragione dipinge serene parvenze, a lei4 dà riposo e acquetare fa l’amarezza, perocchè ella non vuol muovere nè toccare cotesta natura contraria alla sua5; e usando al fegato della dolcezza che è in lui medesimo, in ogni parte sua facendolo diritto, pulito e franco, placa e umilia la parte dell’anima che è albergata presso al fegato, sì che essa fa di notte convenevole ufficio, cioè quel di divinare nel sonno, da poi che è privata di ragione e intelletto. E per fermo quelli che ci hanno fatto, aveano

  1. Il Grosso lobo.
  2. Cioè il serbatojo del fiele e suoi canali.
  3. Cioè la vena porta, che si gemina in due rami, i quali sono chiamati porte del fegato.
  4. All’anima o al principio concupiscibile.
  5. Cioè la Ragione non vuol toccar l’amarezza, perchè, essa è contraria alla natura sua propria, ch’è mite.