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sceveratamente, di quelle che operano con intelletto cose belle e buone, e di quelle private d’intelletto, che operano ogni volta a caso e disordinatamente.

E già delle seconde cagioni onde hanno gli occhi questa virtù loro, si è ragionato sufficientemente. Ora è a dire qual’è il più gran bene degli occhi, per lo quale ce li ha donati Iddio. La vista io penso che è a noi cagione del maggior bene del mondo; perocchè giammai dire non si poteva niuna di queste cose dell’universo, se non vedevamo noi astri, nè sole, nè cielo. Ora il dì e la notte, che noi vediamo, i mesi e i giri degli anni, ci hanno fornito il numero e il concetto del tempo, e il modo di cercare la natura dell’universo; onde ci siamo noi procacciato così la filosofia, della quale un maggiore bene nè fu nè sarà donato mai dagl’Iddii alla mortale generazione. Dico questo grande bene degli occhi; tutti gli altri da meno a che celebrare e laudare? dei quali occhi se alcuno è orbato, il quale non sia filosofo, egli si piangerebbe e farebbe lamento invano. Io dico, io dico che per la detta ragione Iddio ci ha trovato gli occhi e ci ha donata la vista, acciocchè noi contemplando in cielo i giri dell’intelligenza, per le circulazioni della nostra mente ce ne giovassimo, le quali sono simili a quelli; se non che, quelli sono sereni, queste turbate; e appreso la dirittura e le ragioni de’ loro moti, imitando i non errabili giri dell’Iddio, i nostri proprii, i quali sono erranti, ricomponessimo.

Si dica pure la medesima cosa della voce e udito, cioè