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hi, e legaronli ivi, adoperando così. Il fuoco, quello che non ha potenza di ardere, ma sì di porgere dolce lume, quale è quello del giorno, procacciaron che divenisse corpo: imperocchè il fuoco sincero ch’è dentro noi, fratello di questo fuoco del giorno, fecero ch’e’ scorresse per gli occhi; il limpido e il denso, tutto; costringendo il mezzo degli occhi, sì che alla parte più crassa facesse intoppo, e lasciasse la via solo a quella più limpida. E quando il lume del dì è intorno al rivo della vista, rifuggendosi allora il simile in verso del simile1, intimamente meschiandosi, là dovunque s’abbattano sì fanno un corpo secondo lo indirizzamento dell’occhio. Il quale luminoso essendo e passionabile tutto simigliantemente a cagione della simiglianza delle parti sue, il moto di ciò che esso tocca o di ciò ond’esso è toccato, spandendo in tutt’il corpo nostro infino all’anima, arrecò questo sentimento per lo quale noi diciamo di vedere. Ma quando il cognato fuoco, quello del giorno, se ne va via per entro alla notte, allora scisso è il ruscello della luce degli occhi; perocchè, uscendo fuori e entrando entro a un dissimile, si altera e spegne, non avendo più amistà veruna con l’aria che è intorno, siccome quella che non ha fuoco. Allora il vedere si fa vano, e vien sonno. Imperocchè le palpebre, le quali furono congegnate a salvamento della vista, chiudendosi, sì interchiudono

  1. Questo lume di dentro, e il lume il quale è raggiato dalla cosa di fuori.