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’anima del mio antenato, Dedalo. E se le proposizioni uscissero di bocca a me, tu mi potresti dar la baia, dicendomi che per esser io e lui d’un sangue, le mie statue di parole scappan via, e là dove son messe non ci voglion stare. Per fortuna escon di bocca a te; ci vuole dunque un altro scherzo, ci vuole.

Eutifrone. No, questo ci sta, Socrate; perchè codesta smania di far la giravolta e non volerposare, tu ce l’hai messa, tu, non io, e Dedalo sei tu; che per me elle starebber ritte e ferme.

Socrate. Ma allora, amico mio, io son più bravo tanto di Dedalo, in quanto che egli faceva frullare le cose sue; io poi, oltre alle mie, anche quelle degli altri, come pare. E la bellezza dell’arte mia si è che io son bravo senza volere: perchè io vorrei piuttosto che stessero immobili i miei discorsi, che aver la bravura di Dedalo e per giunta le ricchezze di Tantalo. Basta! Dacchè mi pari un po’ delicato, via, ti vo’ dare io una mano, suggerendoti come mi hai a insegnare in cotesta cosa del santo, perchè io non vo’ che ti stracchi. Guarda, ti par necessario sia giusto tutto ciò ch’è santo?

Eutifrone. Sì.

Socrate. E forse tutto quel ch’è giusto è anche santo? o tutto quel ch’è santo è giusto, e quel ch’è giusto non è tutto santo, ma parte sì, parte no?

Eutifrone. Ma io non ti tengo dietro, Socrate.

Socrate. E pur tu se’ giovane tanto piú di me, quanto piú savio. Ma ho ragione io! quel che ti stanca è il gran