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glia proprio la rovina della città nostra, proprio. Ma una curiosità me la levi? che fai tu, secondo lui, per guastare i giovani?

Socrate. Oh, cose dell’altro mondo, mio caro: dice ch’io sono un fabbricatore d’Iddii, e che, mentre ne fo de’ nuovi, disfaccio i vecchi: vedi che accusa!

Eutifrone. Ho bell’e capito: gli è perchè sei usato dire che hai un demone con te. E il furbaccio ti accusa che tu fai cose nuove in religione e ti tira in tribunale, sapendo che siffatte calunnie il popolo se le beve. Di me, poi, quando in parlamento apro bocca su cose di religione e predico il futuro, si fan le piú grasse risate di me, come fossi impazzato; e pure quanto volte ho predetto, tante ci ho colto. Ma la è tutta invidia: non ci si badi e tiriamo via.

III.

Socrate. E’ non fa nulla, Eutifrone, a esser beffati. Al vedere, cale poco agli Ateniesi se ci sia alcuno bravo, purchè ei non si metta a fare il maestro e a piantare altri bravi come lui; se se n’accorgono, sia invidia come di’ tu, o che so io, se ne pigliano.

Eutifrone. Io, caro Socrate, la voglia di far prova come si comporterebbero con me in cotesto caso; io non l’ho davvero.

Socrate. Forse perchè ti fai vedere poco e non ti degni d’insegnare quello che tu sai. Quanto a me, sto in pen