Pagina:Platone - Il Timeo e l'Eutifrone, Acri, 1889.djvu/100

ragione.

La nostra intemperanza futura in mangiare e bere conoscevano assai coloro che ci composero, e che noi ci saremmo per avidità riempiti oltre al bisogno, fuor di misura. Perchè adunque repente morte non c’incogliesse, e per cagion di morbi non finisse subitamente la generazione umana ancora imperfetta1, provvedendo a ciò, posero il così detto alvo a ricettacolo del soverchio della vivanda e bevanda, e avvolsero spiralmente gli interiori quivi entro; acciocchè il rovinoso passare del cibo tosto non necessitasse il corpo ad aver bisogno novamente di altro cibo, e, per lo diluviare a cagion dello sfondato ventre, tutta la specie umana selvaggia non divenisse di filosofia e di muse, e disubbidiente a quello che entro noi è più divino.

Ella è così poi la cosa delle ossa e carni e ogni simigliante natura. Il principio loro è nella generata midolla; perocchè, legandosi l’anima col corpo, i vincoli della vita annodati entro dalla midolla radici furono alla specie mortale. La midolla poi si generò di altre cose; imperocchè Iddio, scelto de’ triangoli quelli primarii, regolati e puliti e assai adatti a fare a perfezione fuoco, acqua, aria; e spartito quelli dalle loro singolari specie, e mischiatoli insieme sì che fossero misurati fra loro, ebbe in siffatto modo apparecchiato la universale semenza a tutta la generazione mortale. Iddio lavorò la midolla, e in essa piantando le tre specie di anime,

  1. Non avendo conseguito suo fine.