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STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI 59


a un nuovo amante, in quella che al legittimo sposo stringe la mano: e gli pare, lo stesso dover capitare anche a lui; nè s’inganna. “Amore è cieco, e vede da lontano;„ e dopo d’essersi così lungamente travagliato, lo amante riesce ad accorgersi della poca fedeltà della sua zita. E come no! I saluti di lei non sono espressivi come una volta: non hanno la solita magia gli sguardi, non l'usata semplicità le accoglienze: un mutamento si è per certo avverato. Il povero sposo, rammaricandosene, chiede alla luna, perchè la sua amata non lo guardi più:

  O luna, luna!
E chi cci fici io a l’amanti mia,
Ca nun m’adduma cchiù. li lampiuna?

Naturalmente la luna.non ha risposta per lui; il quale, affrontando la fidanzata, domanda:

Dimmi tu: unni si leggi mai o si scrivi,
Cu dui timuna reggiri ’na navi?

E giacchè la metafora non si capisce o si fa le viste di non capirla, senza ulteriori smozzicature e complimenti, egli le spiattella:

  Ora, figghiuzza, parramu ’ntra nui:
Chista ’un è liggi mancu ’ntra l’ Ebbrei;
Ha successu ’na donna amari a dui,
Ma no amàrinni quattru, cincu, e sei.

Come uomo che sente la propria dignità, egli scioglie qualunque nodo, dimentica, se pure gli è possibile, una passione che fu già causa di tanti affanni. E almeno s’arrestasse a questo! ma pur troppo la