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STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI 157


  Bruttaccia môra!
Tu mi pari nescita dalla bara,
Oppuramente dalla seportura.

Di satire, ch’io sappia, non è buon numero: una ve ne ha delle massaie e delle faccendiere per la donna fannullona, che sta tutta una settimana a cercare la rôcca perduta, a rassettarla, a pettinarvi e inconocchiarvi sopra la stoppa, senza pur filare tanto che basti ad una gugliata; un’altra satira è pe’ cappellai, e un’altra (e questa è fiera) pe’ mugnai, ladri più che non i macellari e gli osti, cattivi più che non sieno i Tedeschi de’ canti toscani.

I ricordi mitologici, misti sempre a’ religiosi, vi sono in copia più che sufficiente a comprovare, che pur di esprimere al vivo l’idea, il popolo non si cale di strane mescolanze.

La Francia e la Roma del canzoniere toscano non perdono linea della Francia e della Roma del siciliano; ma la Turchia, col terrore che incute, non ha pel canzoniere toscano briciolo della poesia di una terra africana. La Toscana si affaccia tanto spesso coi suoi comuni che mai veruna persona si aggirò in propria casa quanto per Firenze, Pisa, Arezzo, Livorno, Siena, il poeta popolare, a cui non è del resto ignota la via d’Orvieto, Bologna, Verona, Venezia, Napoli. Anzi di Napoli egli rammenta (e questa è poesia) un consiglio, che vi stabiliva, nessuno dover piangere più chi muore, e di Venezia loda il già tanto reputato oro. Nessun rispetto direttamente o indirettamente riguarda la Sicilia, malgrado che questa abbia in sì alto conto la bella Fi-