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148 STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI


orfanelli, di figliuole, rimaste prive di consiglio e di conforto.

Più curiosa della prefica di Calimera (altro comune del Leccese), la quale dalle spremute lagrime non ritrarrà se non qualche soldarello, il cantastorie di Martano dimanda un uovo pel canto della passione di Cristo, e una ricotta ovvero un cacio pel canto delle Palme; canto che pare legarsi a quelli di questue in uso in tutta Italia per altri giorni dell’anno.

Nei canti religiosi; pochi eccettuati, entra la rettorica in tutto il suo artificio. Versioni letterate sono i canti che portano il titolo Stabat Mater, Dies irae e Miserere (quest’ultima meno che le altre). Nel canto sul tradimento di Giuda, il soverchio sentenziare accusa l’ignoto poeta di un’arte che non è da persona digiuna di lettere; non così le altre stanze che celebrano un miracolo di S. Nicola protettore di Corigliano. Molto biblico è un canto sulla tomba di Gesù Cristo; il dolore della morte del Nazareno non si può esprimere più intenso nè più disperato. Il ritmo di questa specie di leggende sacre è uniformemente lirico, in quartine, cioè, di versi ottonari.

Ma i canti nei quali il cuore del popolo tutto si trasfonde son quelli d’amore. È facile che il popolo apprenda e faccia suo un canto religioso di persona letterata, e lo tramandi di generazione sempre scrupolosamente; ma il canto d’amore, se non è di popolo, o per lo meno, se non celebra affetti e simpatie popolari, e però se non è semplice e disinvolto nella forma, il popolo lo adotta con una certa difficoltà. Questa la