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STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI 133


Chiaro apparisce in un canto l’ uso nuziale di apprestar del brodo di galline o di piccioni il domani del matrimonio in cui gli sposi si levano di ziti:

  E la matina quannu ch’agghiurnau
Mè soggira m’ammazza ’na gaddina:
— Fatti lu vrodu te’, jènnaru miu,
Spampinasti ’na rosa sciannarina1.

Là dove il popolo canta:

Ma li spinnagghi pirchì ’un mi li dasti,
Lu fazzulettu chi mi cumminía?2

io trovo un documento dell’altro uso nuziale, per cui soglionsi donare de’ fazzoletti, delle anella, dei dolci (spinnagghi) ed altrettali cose nella celebrazione delle nozze.

Più importante sembrerà a molti la rivelazione popolare del modo onde qualche volta si apprendono le verità morali ed i fatti fisici; ciò che potrebbe anco fornir nota della istruzione del popolo. Qui sparisce la scienza dell’ odi profanum vulgus, e subentra quella che procede modesta senza boria e sussiego. Ma nessuno s’argomenti di avervi a trovare la pretesa scienza popolare, mania de’ giorni nostri, rovina degli studi più severi, che ne’ cultori delle scienze stesse diviene leggerezza; presunzione e malinteso ne’ lettori che vogliono saper di tutto e di tutti. Ed ecco, per motivo d’esempio, come si apprende e popolarizza la teoria della conformazione e del moto dell’universo:

  1. Rosa sciannarina, rosa alessandrina. Immagine orientale!
  2. Cumminia, da cummèniri, convenire, qui toccare, spettare; in altro senso vale tornar conto.