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132 STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI


pri iddu addumaru), che poi va di diritto alla levatrice.

Parimenti, dove la giovane con fine ironia, motteggiando lo sposo che le voglion dare, dice che ha fatto pensiero di maritarsi a un figlio di mercante, che le porterà un vestito in capo all’anno, e per ispada uno spiedo, ecc., come qui può vedersi:

Mi vogghiu maritari e sugnu zita,
Un figghiu di mircanti haju truvatu,
Ca supra l’annu mi porta un vistitu,
Di cùzzichi di nasu arraccamatu,
E pri spatazza mi purtava un spitu,
E pri cappeddu un canuzzu scurciatu1,

ognuno subito ricorre all’antica consuetudine, che autorizzava anche il medio ed il basso ceto di cingere uno spadino. Ma quella consuetudine dovette presto cedere quando Domenico Caracciolo, vicerè di Sicilia, attenuando o togliendo certi privilegi abusivi del suo tempo, ordinò che nessun artigiano portasse quind’innanzi arme veruna; e in questo sembrò venir meno alla nota sua imparzialità, la quale intendea guardare a un modo così i nobili come i plebei da lui governati2. Laonde se prendesse vaghezza di determinare una data approssimativa del canto, non potrebbe farsi meglio che assegnandogliene una non posteriore al 1782, in cui il vicereale decreto mostrava vigente quel diritto.

  1. Questo canto non val nulla, ma ho voluto citarlo anche per far vedere come in un mediocre canto una parola possa costituir tanta importanza quanta non ne potrebbe un canto bellissimo. Ogni prun fa siepe.
  2. Domenico Caracciolo o un Riformatore del secolo XVIII, per Isidoro La Lumia. Palermo 1868.