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108 CANTI POPOLARI


colpevole di siffatte nefandezze, ebbe a risentirsene più che non se ne risentisse la feudalità, a tante scene di sangue non certo indifferente; ed ora ne tramanda per bocca di una povera donna il ricordo luttuoso:

  Casu di Sciacca, spina di stu cori,
Di quantu larmi m’ha’ fattu jittari!
A chi mi giuva stu misiru cori,
Ch’è nudu e crudu di robba e dinari?
Biddizza ed unistà sunnu palori,
Senza lu scrùsciu1 nun si fannu amari,
Ora nuddu pri mia spàsima e mori,
La stissa Morti ’un mi voli guardari!..

Ma se antichi gli odii e secolare, la ruggine tra le famiglie de Luna e Perollo2, quale inattesa cagione ne precipitò la fine lagrimosa? Nè più nè meno, dicono i nostri annali; che la insolita generosità di quel pirata Giudeo, che cedendo per una gentile offerta del Perollo, di drappi, frutta e altre cose tali, i nobili prigioni fatti in quel littorale e testè negati agl’immensi tesori del de Luna, e giurando inoltre che non più molesterebbe Sciacca, fece sì che tra i due potenti si riaccendesse più fiero che mai il desiderio di vendetta.

La pirateria però impedita in quel mare si riversò negli altri di Sicilia e, prima e poi, le più belle contrade

  1. Scrùsciu, scroscio, intendi de’ danari.
  2. Gli odii dei due casati cominciarono in giugno 1400 ed ebbero fine nel 1530 col nefando eccidio del Perollo. Sigismondo de Luna fuggito in Roma, sperando protezione da Clemente VII, a cui era legato di parentela, in odio al cielo, alla terra, a se stesso, si precipitò nel Tevere.