Pagina:Pitrè - Canti popolari siciliani I, 1891.djvu/115


STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI 89


spetto e di diffidenza nell’animo del siciliano; in tutto e per tutto differenti da questo fiore, che mi sa dello stupendo:

  Ovu di canna!
Nun ti fidari si la corda è longa,
Cà cchiù chi longa è, di cchiù ti ’nganna;

tutte queste massime, io dico, sono come principio e parte delle satire, le quali, non iscarse nè mediocri, troviamo nel canzoniere finora esaminato.

Non occorre cercare perchè a questo modo l’essere più caro, più simpatico della natura si bistratti nella nostra poesia sentenziosa. Altri lo troverà ne’ poeti disgraziati in amore; altri nella eterna favola della volpe e dell’uva; altri nelle colpe di tutte le Eve, che furono e sono sulla faccia della terra, quasi che degli uomini non avessero a dire altrettanto esse stesse. A me pare invece, che siccome questo genere di poesia popolare ritrae tanto della canzona quanto del proverbio: e siccome il proverbio non può esser formato che nell’età matura dell’uomo, nella quale tutti si affollano i disinganni della vita, e quello sopratutto della fiducia nelle donne tanto pedinate in gioventù; così esso si mostra stizzoso e sprezzante di ciò che non può conseguireː mentre la poesia (intendo sempre popolare) amorosa, essendo tutta opera di giovani che spasimano per un paio di ricciolini e per una gonnella, riescono quali li abbiam visti, pieni di fede e di amore. L’ una è l’espressione d’una passione giovanile, l’altra il frutto dell’esperienza; là è ardore che non va tanto pel sottile, qua riflessione che calcola freddamente.