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STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI | 77 |
Mentri siti marteddu, martiddati,
Un jornu a la me ’ncùnia1 viniriti;
Mentri nn’aviti, jucati e scialati2,
Un jornu scialu io, e vu’ chianciriti.
Questo cantatore non rimpianse mai le sue sventure, nè per le altrui seppe attristarsi giammai; egli piacevoleggia e ride di tutto e di tutti, e perfino, chi il crederebbe? delle manette, delle bove, dei pollici (ucchiali di Cavurru), delle catene che gli pesano; non gli cale di nulla, anzi fa maraviglia a vederlo come venga sbertando gli Eracliti e i Geremia del suo camerone, che mal comportano le guardie e gli aguzzini. Se non che, a leggergli dentro, si vedrebbe che lo sforzato sorriso delle labbra è sogghigno feroce del cuore.
La disperazione è alle prese col dolore, la vita in lotta colla morte, Satana presso a trionfare dell’Angiolo consolatore. Un canto anche più espressivo, più elevato, e forse l’ultimo del gemente in catene, viene a ritrarre lo stato miserando di quell’anima straziata: