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mune avversario. Che sperare adunque da una lega di principi italiani di cui tutte le forze messe insieme sono inferiori alle austriache, e fra cui contasi il Papa cosmopolita e centro di dissoluzione e discordie?
Se l’Austria abbandonasse la sua abile politica e minacciasse di voler conquistare d’un sol tratto l’Italia, sarebbe il solo caso di una lega sincera, ma durevole quanto il periglio. Le leghe fra i despoti non sono mai concertate da mire comuni e durature; l’indole d’un principe, il suo capriccio, un matrimonio cangia la politica, e si violano i patti. Basta promettere ad uno dei collegati vantaggi in preferenza degli altri per staccarlo dalla lega, e forse da amico farlo nemico. La colleganza dei re contro i popoli è la sola possibile e conseguente; essa esiste di fatto, essendo il periglio comune e durevole.
Facciamoci ora a discorrere del caso in cui uno solo de’ principi italiani voglia assumere l’impresa di unificare l’Italia; numeriamo i nemici. Prima l’Austria, che tre o quattro disfatte non debellano; mentre la perdita d’una battaglia prostra le forze d’un piccolo Stato; con l’Austria si uniranno gli altri principi italiani facenti ogni sforzo per salvare i loro troni, ed il Papa con essi che, oltre di chiamare l’Europa intera in sua difesa, lancerebbe in campo la livida schiera dei clericali con le armi che loro son proprie, tradimento e raggiro. Armi efficacissime in quello sciame di cortigiani di cui circondasi il trono, e che temono scapitare se il padrone vien costretto a spandere in circolo più ampio i suoi favori. Non trattasi di un re che caccia gli stranieri dai proprii Stati; ma di un piccolo Stato che conquista e debella Stati ad esso molto superiori di forze. A contrappesare tanti nemici, il principe conquistatore si rivolgerà alle simpatie dei popoli italiani, che in un baleno potrebbero rovesciare