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del dispotismo siano stranieri. Ne verrà risparmiato il dolore di veder rivolti contro noi stessi i nostri concittadini, ed essendo maggiore il distacco fra il governo ed il popolo, più sentito sarà l’odio, più pronta e terribile la vendetta. Non è forse più onorevole pe’ Romani che il papa debba sostenersi per forza d’armi straniere anziché appoggiarsi alle armi nazionali? Non sarebbe stato per la Francia meno vergognoso il sottostare ad una conquista, che vedersi oppressa, umiliata, venduta da francesi stessi? Sì sarebbe disgraziata la Francia, non già corrotta. La conquista può essere l’effetto di una momentanea prepotenza di forza, nè dura, se lo spirito nazionale esiste. La tirannide domestica, per contro, sorge dalle viscere stesse della nazione e vi tiene profondate e sparse le barbe. In una parola, quando i tempi sono maturi a libertà, che un despota scacci un altro despota o si sostituisca alla conquista straniera, il popolo, senza nulla guadagnare, sopporta infruttuosamente tutti i mali della guerra. Col dispotismo non v’è nazionalità; qualunque lingua parli il tiranno, qualunque sia il luogo ove ebbe i natali.

Della monarchia costituzionale dico brevemente, non perchè dopo il già detto poco sia necessario, ma ad evitare l’accusa d’averne taciuto ad arte. Tal forma di governo è assurda: altro non è che un’ipocrita tirannide. Il principe capo delle armate, padrone del tesoro, distributore di tutte le cariche, di tutti gli onori dello stato, negoziatore con le potenze straniere, sorgente di tutte le grazie, solo inviolabile ed irreprensibile di qualunque atto, mentre non avvene alcuno che non sia sua emanazione e sua volontà. Adunque, gli attributi, la forza, i privilegii del principe sono i medesimi che nella monarchia assoluta. Quali sono incontro ad essi le guarentigie del popolo? Un patto, ovvero il giuramento del principe stesso, ed un congresso che il