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di sorta alla libera manifestazione della volontà collettiva, e che veruno interesse individuale non prevalga all’interesse universale; quindi non può scompagnarsi dalla piena ed assoluta libertà, quindi non ammette classi privilegiate o dinastie o individui, la cui volontà, attesi gli ordini sociali, debba assolutamente prevalere; è nazionalità quella che godesi sotto il giogo d’un assoluto sovrano? Quale utile ebbero i popoli dalle guerre che da tre secoli e mezzo si combattono in Europa? guerre di rivalità dinastiche e non d’altro? Gli austriaci, i prussiani, i piemontesi, gli spagnuoli quali ragioni avevano di correre alle armi, e d’assalire i francesi per vendicare la morte di Luigi XVI? Il popolo sotto tali governi è un gregge vilissimo, tosato in pace con balzelli, stromento in guerra di vendetta e di odio personale fra i principi. La ricca vita nazionale si riassume e si angustia in quella ignobilissima d’un despota o d’un suo favorito, e diventa però mutabilissima; quindi la stessa nazione la vediamo ora superba, ora umile, ora bigotta, ora religiosa, ora debole, ora forte, il continuato progresso impossibile; ogni ministero distrugge, o scieglie via diversa da quella del predecessore, sempre suo rivale, e la nazione è condannata ad un perpetuo ondeggiare. Tutto ciò ch’è collettivo, epperò nazionale, abborrito, interdetto. La storia della nazione riducesi ad una cronaca menzognera o scandalosa delle virtù o de’ vizi dei principi. Ove adunque trovasi la nazionalità? Quali vantaggi otterrebbe l’Italia con l’unità monarchica assoluta? Nuovi mali e non altro.

Tutte le miserie ed umiliazioni che ora si riscontrano in ogni principato in cui è divisa l’Italia non cesserebbero, ma a queste altre verrebbero aggiunte dell’accentramento del potere e dell’amministrazione che naturalmente risultano.