nenti; ma quale è la loro natura? Possiamo paragonarli ai satelliti armati di cui si circondarono i tiranni della Magna Grecia, a’ pretoriani de’ romani imperatori, a’ venturieri del medio evo? No; pei moderni ufficiali la milizia è un mestiere, ma non lo è pei gregarii, per questi è un peso a cui con riluttanza si sottomettono. La disciplina adopera ogni meglio onde, quasi direi, affatturarli, e farne un sostegno alla tirannide, di cui i soldati sono le vittime più che le altre tormentate, ma non cessano di esser popolo, dal cui seno sono svelti a forza, e sempre agognano farvi ritorno. Perchè dunque credere che il fascino, l’incanto che li aggioga al dispotismo, non possa cadere, nè possa sorgere in essi la speranza di un migliore avvenire da conquistarsi non già al prezzo di una battaglia, ma solamente rifiutandosi di combattere contro i proprii concittadini ed amici? Chi più del semplice soldato deve desiderare un miglioramento nelle condizioni della plebe? Egli non è che plebe. Inoltre quell’amor proprio di corpo in cui risiede tutta la forza dei moderni eserciti è eziandio efficacissimo conduttore d’ogni nuova idea; un solo, in quei difficili momenti, in cui gli spiriti esaltati ondeggiano nell’incertezza, momenti nelle guerre civili comunissimi, un solo basterebbe per trascinare col suo esempio un reggimento intero, ed un reggimento, un esercito. Aggiungi che la polvere da fuoco ha reso facilissimo l’armeggiare; ha diroccata le torri dei feudatarii; ha sfondata la loro corazza: ha uguagliato il povero al ricco, il forte al debole; ha reso impossibile alle soldatesche sostenersi in una città, in cui i cittadini padroni degli edifizi son decisi a combattere; e finalmente il vantaggio al numero sul valore pare che abbia favorevolmente decisa la causa della umanità.