simili esce dallo stato selvaggio; isolato è inferiore a quasi tutti gli animali, associato diventa sovrano. Sola non può neppure procacciarsi il necessario; in società ottiene subito dal lavoro collettivo un prodotto sovrabbondante, quindi comincia il risparmio, il capitale; e siccome il lavoro, come afferma lo stesso Pellegrino Bossi, non essendo trasmissibile, non è neppure usufruttabile, ne risulta che il risparmio, ovvero il capitale, conseguenza di un lavoro collettivo, non può essere che una proprietà collettiva. Il capitalista che paga otto di salario ad ogni operario che produce dieci, non solo ruba due ad ognuno di essi, ma ruba eziandio la loro potenza collettiva, quella potenza per cui l’azione simultanea di cento persone è superiore all’azione successiva di tutti gli uomini della terra; potenza per cui accrescesi oltre misura il prodotto, potenza generatrice del capitale. Per qual ragione adunque gli operai, padroni legittimi del prodotto del loro lavoro, padroni legittimi del capitale che la loro potenza collettiva ha accumulato, sottostanno alle esorbitanti e tiranniche esigenze d’un capitalista? La fame ne li costringe. Se nella presente società cessasse la miseria, capitalisti e proprietari più non troverebbero nè operai, nè fittaiuoli che volessero lavorare per loro conto; cesserebbe ogni produzione, la miseria fa loro abilità di usufruttare gli altrui lavori; la miseria è il punto d’appoggio su cui librasi, è la base su cui poggia l’edificio sociale; è il solo movente che produce quella vantata armonia della società. I pochi si giovano del frutto dei lavori di molti. Gli economisti, vedendosi debellati, hanno eseguita un’abile evoluzione, sono ritornati sull’antico terreno; essi trascinarono nuovamente i loro avversari ad esaminare i sistemi che pretendono surrogare alle condizioni e relazioni presenti, e disser loro: voi non fate che distruggere; edificate, ed esperimentiamo se i vostri