Pagina:Pisacane - Saggio sulla rivoluzione.djvu/69


— 53 —

di cui si ragiona fa sì che uno solo occupa i posti di più: che nove milioni per esempio, come avviene in Inghilterra, divorano la mensa che natura ha imbandito per 250 milioni. Or come impedire ai tanti esclusi di avvalersi di quella superiorità di forze dalla natura stessa concessagli, e calpestando quei pochi, farsi da loro medesimi giustizia?

Giunta la questione a tal punto, entra in lizza Proudhon; la chiave della volta, secondo Garnier, dell’edifizio sociale è... — La proprietà è un furto, è la netta evidente incontrastabile conseguenza a cui perviene Proudhon colla sua inesorabile logica. Gli economisti hanno consumate inutilmente tutte le loro forze per difendersi, ma l’impresa era troppo ardua, massime per la proprietà, fondiaria. Sarebbe soverchio venir ripetendo in queste pagine gli argomenti di Proudhon; il certo è che l’uomo ozioso, semplice consumatore inutile alla società, che impone patti a suo capriccio a coloro ai quali essa deve tutto, è l’immediata, la legittima conseguenza del diritto di proprietà. L’ultimo fra i volgari, se i pregiudizi non l’acciecano, se la sua ragione può per un solo istante francarsi dall’imperio di fatti, è nel caso di comprendere questa verità. Come mai può dirsi giusta una legge dalla quale risulta il diritto di non far nulla, e scialaquare il frutto dell’altrui sudore? Gli economisti hanno alzata l’ultima barricata dietro cui si credevano invulnerabili: La terra, soggiunge Bastiat, non ha valore (quasi che la mancanza di valore in un oggetto da tutti desiderato potesse adonestarne l’usurpazione); la proprietà, egli dice, è un lavoro accumulato. Ma ad onta di questa ardita asserzione sono stati disfatti, e videro distrutte eziandio le ragioni con cui difendevano il capitale: L’uomo creato con facoltà inferiori ai suoi bisogni, non può bastare a sè medesimo, e solo associandosi coi suoi