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che quasi tutti i malfattori sono miseri ed ignoranti; quando si osserva, finanche un morbo distruttore rispettare il ricco ed unirsi con gli altri innumerevoli mali sotto il nero e stracciato vessillo della miseria; quando infine, la forza delle stesse leggi economiche, gli mostra ad evidenza che questi mali debbono immancabilmente crescere con ispaventevole celerità allora gli economisti rimangono atterriti. I loro sofismi sono impotenti, il sarcasma cangiasi in ira, e prorompono alle onte; vi chiamano anarchisti, e parteggiatori: ma i fatti sanguinosi e minaccianti non cessano di protestare.
Fra gli economisti il solo Malthus, coraggiosamente si è svincolato dalle fatali strette: Non sono le leggi economiche, egli dice, non è l’ingiusta distribuzione delle ricchezze, non le condizioni ed i rapporti della società la cagione di questi mali; ma essi risultano da due leggi immutabili di natura, che regolano la propagazione della specie, e l’accrescimento del prodotto, e fanno sì che l’una proceda in una progressione geometrica, mentre quella cresce in una progressione aritmetica, e quindi conchiude: «Un uomo che nasce in un mondo di già occupato, se la sua famiglia non ha come nutrirlo, e la società non ha bisogno del suo lavoro, quest’uomo dico non ha il minimo diritto a reclamare una posizione qualunque di nutrimento, egli è realmente di soverchio sulla terra. Al grande convito della natura non vi è posto per lui, la natura gli comanda d’andarsene, né tarderà a porre essa medesima quest’ordine in esecuzione.»
Non è necessario dimostrare per ribattere l’argomento di Malthus che in natura non esiste cotesta legge fatale e terribile; ma basterà rispondere che se essa esistesse, non dovrebbe aver effetto, se non quando ognuno non occupasse nel convito della vita che un posto solo; ma quella ingiusta distribuzione di ricchezze