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giustizia, l’utile del libero cambio, astrattamente, è incontrastabile; esso è una conseguenza delle leggi naturali da cui viene regolato il mondo. Ma queste leggi naturali vengono esse osservate nel resto degli ordini sociali, nella distribuzione delle ricchezze? È questo il punto della questione dagli economisti studiosamente evitato. La varietà dei prodotti delle diverse regioni, la diversità delle attitudini di ciascuna nazione e di ciascun uomo sono fatti da’ quali risulta l’utile, la necessità del libero cambio. Che ogni popolo fruisca dei prodotti degli altri popoli e faccia loro fruire dei suoi; che ognuno possa giovarsi delle diverse attitudini di tutti, e tutti di quelle di ognuno, è il problema umanitario, il problema che il libero commercio, e la facilità e rapidità delle comunicazioni risolvono. Il libero cambio, produrrà l’altro grandissimo vantaggio che una nazione, destinata dalla natura ad essere agricola, non abbandonerà certo l’agricoltura per l’industria, viceversa, e così ogni popolo troverà il suo vantaggio rimanendo in quelle condizioni che natura gli ha fatto. Ma per ottenere cotesti risultamenti richiederebbesi che i prodotti sociali, le ricchezze insomma, scorressero e si diffondessero ugualmente in tutte le classi della società, e non già, come avviene, che si andassero restringendo in pochissime mani. Questo fatto che abbiamo dimostrato fa crollare l’edifizio incantato dei liberi cambisti; è questo lo scoglio ch’eglino vorrebbero nascondere curandosi poco, ottenuto l’intento, che la società si rompesse.

Discendiamo ai fatti: un paese abbonda di cereali, ed ivi la plebe vive a buon mercato. Si ponga in atto il libero cambio, ed immediatamente gli incettatori faranno acquisto di tutto il grano, e l’invieranno a quei mercati ove è maggiore il prezzo. Quale sarà la conseguenza? Il caro del pane! Ma vi rispondono i liberi