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sempre restringendo, allargava quella fatale voragine che separavala dalla plebe. Intanto in questa barbarie ricorsa era rimasto superstite il comune romano; esso fu punto di rannodamento alla maggior parte degli oppressi; questi comuni sottostettero all’assoluto imperio dei baroni, ma essi furono tanti centri di vita.

Il misero popolo dopo sei secoli cominciò a sentire i propri mali, venne scosso dalla lotta impegnata fra l’aristocrazia e la teocrazia, la rivoluzione cominciò; e questa rivoluzione che logorò le forze dei romani, fece inabbissare tutto l’impero in quella voragine spalancata fra ricchi e poveri e trionfò dinante la barbarie ricorsa, imperocchè le sue mire furono più recise. Allora gl’italiani volevano conservare l’Impero, chiedevano solo di esser Romani. Vano rimedio ai loro mali. Ora che in diritto ed in fatto altro non esisteva che l’arbitrio dei baroni, il suggerimento dell’istinto fu di distruggere questi; non eravi nulla da conservare: i ricchi baroni vennero assaliti; le loro terre conquise, diroccate le loro castella, ed essi furono costretti a chiedere rifugio ai trionfanti comuni.

L’Italia risorgeva. I comuni italiani, per loro interne istituzioni erano al medesimo punto in cui erano giunti i Sanniti e i Magno-Greci; quindi l’intera Italia sotto i Romani, il governo dei migliori, gli eletti del popolo. Quelli pel crescere delle ricchezze peggiorarono e perirono, questi corsero con più rapidità le vicende medesime. Nelle antiche città italiane formate dalla riunione di rozzi selvaggi, ed in cui l’agricoltura era in onore, i migliori erano considerati i più laboriosi, i meno ignoranti; per contro nelle città italiane surte dalla ritornata barbarie, dal lezzo della comune depravazione, cogli sforzi dell’industria e del commercio, i simulatori e gli scaltri erano quelli nelle cui mani veniva affidata la suprema podestà; nelle primitive popolazioni agri-