Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 26 — |
gradita occupazione di quei guerrieri, e le terre quasi ugualmente divise, l’utile privato trovavasi d’accordo con l’utile pubblico; i voti non venduti, e la suprema podestà, le cariche tutte della repubblica venivano conferite ai migliori. Ecco dunque nell’epoca medesima, nella stessa Italia due società, l’una pel rapido svolgersi della civiltà e l’accrescersi delle ricchezze, corrotta e decadente; l’altra ove erasi conservata una giusta uguaglianza, giovane e fiorente.
Proseguiamo le nostre considerazioni: in una società depravata gli scrittori non possono essere che dotti e correttori di costumi; tali i Pittagorici, i quali non furono, come alcuni opinano, riformatori, ma propugnatori delle antiche virtù, apologisti del governo dei migliori, che aveva già esistito, che esisteva presso i popoli montani, e che fra i Magno-Greci era degenerato, perchè non bilanciate le fortune, e il governo dei più ricchi. «Il migliore dei Governi, diceva Clinia, non debb’essere affidato ad un solo, perchè un solo ha delle debolezze; non a tutti, perchè fra tutti il maggior numero è di stolti; ma a pochi, perchè pochi sempre sono gli ottimi.» — «Se una città libera, diceva Aristotile, non avesse che un solo uomo virtuoso, chi potrebbe negare che in tale città la dominazione di un solo sarebbe necessaria?» E Clinia, Aristotile, Platone, facendosi come è naturale all’uomo centro di ogni cosa, credettero scoverte del loro ingegno quelle massime, quei principii, che in quella società decadente erano un pallido riflesso, una debole eco di antichi costumi; e dando il nome di virtù, non già all’azione che oppone nuovi principii a vecchi pregiudizii, ma ai principii, stessi, si credettero i soli virtuosi, nè dubitarono per fare il bene, come essi dicevano, spacciarsi quali inspirati da Dio; e così l’amor proprio trovò in essi ragioni, come accordare impostura e virtù.