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così ognuno a schivare la probabilità d’un servaggio, rendevasi volontariamente servo.

Così si formarono i vichi ed i paghi. I deboli si sentivano lieti del ritrovato di aver chiesto la protezione del forte, contenti lavoravano, ed il forte, loro protettore, godeva del frutto dei loro lavori; la ragione era d’accordo col sentimento; queste prime società prosperarono.

La guerra fra i vichi, e paghi fece che varii di questi borghi collegandosi formarono la città. I varii capi, re scettrati, e sommi sacerdoti dei loro dipendenti si raccolsero in congresso nella città onde accordarsi riguardo il modo come condurre la guerra solo pubblico interesse allora esistente.

Intanto dal consorzio dei vichi e paghi risultò un culto comune, ed un paragone fra il modo di esercitare l’imperio dei diversi capi; quindi nei più oppressi sorse desiderio di migliorare: ed ecco i primi sintomi di una rivoluzione. Certamente soffrì pene acerbissime quel primo schiavo che si lagnò della propria condizione facendone paragone coi più fortunati: questi fu un riformatore, un virtuoso: le sue ragioni furono soffocate con la violenza, e la virtù ignota a quella società si mostrò per la prima volta. Virtuosi furono quei primi plebei, che sfidando il corruccio dei loro padroni, proposero sottoporre alla concione dei forti le private contese; virtuoso fu quel primo nobile che l’approvò facendo prevalere il suo convincimento — motivo interno — alla seduzione, che lo attirava ai vantaggi del domestico imperio — motivo esterno. Fu questa una prima rivoluzione, un progresso; divennero più equi i rapporti fra i padroni ed i clienti, ma crebbe oltre ogni misura la podestà della concione, sovrana e giudice nel tempo stesso. Il suggerimento dell’istinto di surrogare all’arbitrio di varii capi il volere del congresso che essi medesimi componevano, si avvicinò assai più alle leggi di