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non perciò il bene che egli ha fatto può disconoscersi.

Poniamo il caso che non fosse esistito il Comitato nazionale, nè l’opera sua, nè Mazzini, o altri come lui che avesse continuamente fomentato le cospirazioni e le congiure; e che in Italia, secondo avrebbero voluto i dottrinanti, ninno avesse pensato a muovere; chi parlerebbe d’Italia? Forse l’Austria, rassicurata dallo spirito pacifico delle sue popolazioni avrebbe imposto al Piemonte delle restrizioni alle sue libertà; ed il Piemonte stesso in una tranquillità generale, non avrebbe inteso il bisogno di mostrarsi ostile all’Austria. Su che si fondarono le ragioni addotte al congresso di Parigi, per chiedere riforme? sugli articoli di giornali e sui libri stampati in Italia, o sulle vittime, sui condannati, «ui processi continui, che sono poi l’effetto delle congiure, di quella resistenza organizzata in Italia? Ed a quale partito è dovuta la presente agitazione in Inghilterra in favore d’Italia? Ai dottrinanti o ai cospiratori? Ripetiamolo; sono i fatti e non le dottrine che manifestano la vita della nazione.

Una nazione, ripeteranno i dottrinanti, che risorge senza un concetto politico reciso, ricade nella schiavitù. D’accordo in questo. Ma questo concetto politico non si forma nè diventa popolare coi libri ma coi fatti; i rivolgimenti del 48 falliti sono quelli che hanno convinto gli italiani di non aver fede nei principi, perchè casta, la quale ha degli interessi affatto staccati dal popolo; e, come nel 48 coloro i quali dimostravano questa verità non erano ascoltati, anzi maledetti, così in un nuovo rivolgimento rimarranno delusi coloro che vorebbero rifare il 48. Il popolo progredisce nelle sue idee, ma i soli fatti lo balzano da un concetto in un altro.

Se dai libri dipendesse il progresso di una nazione, gli scrittori sarebbero gli arbitri delle sorti dell’uma-