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che vuole spostamela, per mantenerla in un equilibrio che non gli è naturale.
Conchiudiamo. Al Comitato Nazionale è avvenuto quello che avviene ad ogni governo, cui non sia tronca affatto la possibilità di usurpare. Per istinto invariabile dell’umana natura, gli uomini che lo compongono cercano farsi centro d’attrazione di quanto succede, e sempre, comecchè spesso con rettissimi fini, pretendono che tutto pieghi alla loro volontà. Essi praticano e non dicono ciò che il XIV Luigi diceva e praticava: «lo Stato son io.» Il Comitato fece solitudine intorno a sè, allontanandosene tutti coloro che non volevano abdicare alla ragione e credevano assurdo e ruinoso errore il rinunziare alla libertà per conquistarla.
La stampa che rappresentava il partito, in luogo di richiamarlo con severa critica sul diritto sentiero, sacro debito d’italiano, credette migliore tattica adularlo. Disconobbe così la propria missione, e prese norma dagli scrittori ministeriali, i quali, in luogo di correggere, lodano a cielo gli atti del governo. I pochi utili atti che un governo o un centro qualunque può compiere portano scritta in fronte la loro apologia; sono innumerevoli i dannosi che la stampa dovrebbe energicamente attaccare. Ogni governo, ogni centro, a cui per necessità viene concesso un potere superiore a quello che per loro medesimi avrebbero gli individui che lo compongono, è un’ulcera che tende a spandersi sulla società; e bisogna che la pubblica opinione si adoperi ad arrestarne il progresso.
Intanto se, per aver visto gli Italiani uniti a rovesciare la monarchia, adattarne i principî, le forme e i costumi, bisognò conchiudere che la rivoluzione non era compresa; nella guisa stessa, scorgendo come il comitato cessò, perchè successivamente gli vennero meno tutti gli appoggi, se ne deve inferire, che vi è