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che la nazione medesima presceglie. La vanità dell’uomo lo induce a credersi creatore di quei concetti, che ha semplicemente svolto, inspiratore di quelle imprese, che, dall’universale volontà sospinto, produsse a fine; e mentre l’uomo così favorevolmente giudica sè stesso, ogni altro non trovando in sè o in altri tali concetti, conferma un tale giudizio, e di qui la personificazione de’ principii, la deificazione degli uomini; mentre la società nell’onorare gli eroi, altro non fa che onorare le sue più eccelse opere; è un artista che ammira il proprio lavoro. Quando la fama di uno scrittore è universale, e finanche il volgo comprende le sue idee, esso sarà onoratissimo, produrrà alla patria beni incommensurabili; se poi questa fama restringesi nel picciol mondo di dotti, allora verrà dimenticato, non frutterà alcun bene, o tutto al più lo rammenteranno ed onoreranno i posteri. Eppure il secondo ha merito molto maggiore del primo. Questi ha schiusa la via ad un germe quasi impercettibile e diede un frutto tanto precoce che la società non vuol riconoscere come suo; quegli ha trovato la pianta già rigogliosa e grande, ed il frutto già maturo; ha durato poca fatica a coglierlo. Secondo la teoria dei deificatori di uomini, se Romolo, Cesare, Carlo Magno, Napoleone... non fossero nati, l’umanità non avrebbe storia. Così l’uomo per non riconoscere la potenza collettiva, cade nel puerile.

Gli eroi sono effetti, non causa degli avvenimenti sociali; i loro caratteri sono il complesso de’ vizii, delle virtù, delle tendenze dell’epoca; la società può riconoscersi in essi, come un uovo nell’imagine che si restringe sul breve cerchio dello specchio di una picciola lente. Un popolo che vi addita come suoi duci i Scipioni, gli Attila, i Cincinati.... è un popolo libero; la gloria e la grandezza della patria ne sono le passioni predominanti.... Se, per contro, sono i Cesari che primeggiano,