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— in Roma io e tutti coloro che mi circondarono, non fummo rivoluzionari, non fummo all’altezza delle circostanze, e per legge fatale noi potevamo essere; l’Italia doveva subire l’esperienza del 41. Noi avremmo dovuto con un decreto rovesciare l’antico edifizio, proclamare i diritti che ad ogni uomo le leggi di natura accordano. Lasciare ai cittadini libera la scelta de’ magistrati, all’esercito la scelta dei generali e degli ufficiali d’ogni grado: chiamare tutta la nazione alle armi, bandire la guerra, intraprenderla con audacia; così operando, se il popolo secondavaci, l’Italia era salva; nel caso contrario, saremmo eziandio caduti, ma con la coscienza di aver fatto il proprio dovere. Noi invece calcammo le orme de’ passati governi; aggrediti, abbiamo resistito, ecco il merito. Facciamo studio su questi errori; per non incorrervi nell’avvenire.» Ben lungi dell’esserne oscurata, sarebbesi accresciuta immensamente la fama di Mazzini. Invece la repubblica romana venne dichiarata repubblica modello.

Mazzini, se erra, conserva sempre la coscienza la più pura, e le intenzioni le più rette. Egli non tradisce mai i suoi principî; sono i suoi principî che qualche volta tradiscono lui. Egli propende a credere che gli individui non rappresentino le nazioni, ma che le nazioni seguano l’impulso de’ pochi; e cotesto è gravissimo errore. Mi spiego più chiaramente. L’individuo non potendo avere idee, che non siano state generate in lui dalla impressione che riceve dal mondo esteriore, non può mai svelare verità, il cui germe non si trovi già abbastanza sviluppato nella società. La fama immediata è retaggio di colui che afferra il concetto collettivo e lo svolge all’occhio dell’universale; o di quello che, nel campo dell’azione, non trae la nazione dietro di sè (cosa impossibile), ma la regge in quel cammino,