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lenza sulle impressioni esteriori. Parlerò delle sue dottrine, esporrò più diffusamente quello di cui tante volte parlammo insieme.
Il fato di una nazione Mazzini nol cerca nei rapporti sociali ed internazionali, d’onde scaturiscono le guerre, le conquiste, le rivoluzioni, ma abbandona la terra, e lo cerca nel cielo. La legge, dice egli, è una emanazione di Dio, che impone di vivere nel vero, nel reale, nel giusto. Cotesto dovere non è, secondo lui, verso noi medesimi, ma verso l’umanità. Quindi la vita una missione a compiere, un continuo sacrifizio, che necessariamente deve aspettarsi un premio o una pena; altrimenti non avrebbe scopo. Ma ove conducono questi principii?
Questo dovere, questa missione, questo sacrifizio, secondo Mazzini, oggigiorno sono disconosciuti. Dal che risulta un fatto che gli è forza ammettere: il dispotismo, forza mondana e materiale, ha soffocato un’idea, una tendenza celeste, che Dio avrebbe dovuto infondere in tutti i cuori.
Per compiere la rivoluzione bisogna adoperare ogni sforzo onde far rivivere questo sentimento, questo germe divino, che trovasi in ogni cuore. Ma se la rivoluzione avvenisse quando esso sarà risorto, avverrebbe precisamente quando più non sarebbe necessaria, giacchè se ognuno, trascurando sè medesimo, s’interessasse non d’altro che del bene pubblico, allora ad onta de’ despoti e degli stranieri, la nazione, pare, dovrebbe essere felicissima; senza che, despoti e stranieri, uomini anch’essi, e perciò soggetti alla potenza di tale legge diverrebbero nostri padri affettuosi, nostri fratelli; e gli austriaci, volontariamente, senza bruttarsi le mani di sangue, andrebbero a compiere, ne’ loro paesi, la missione della vita. Tutta questa dottrina, altro non è che la sognata fratellanza del Vangelo. Mazzini sfugge