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Il due dicembre ha spaventato ogni partito; tutti avrebbero desiderato far tregua alle contese onde abbattere il nemico comune, i socialisti tacquero ed hanno quasi perduto il terreno che avevano guadagnato. Le dicerie pubblicate dai rivoluzionarii francesi non sono vuote declamazioni. Non si scrutano i varii rapporti, non si dimostra al minuto popolo quale sarebbe l’avvenire, che, volendo, può conquistarsi: coloro sono formalisti e non altro. Tutti, si eccettui Proudhon, persistono nel grave errore di pretendere iniziare le riforme dall’alto al basso; imporle al popolo, e non farle sorgere spontanee dal basso in alto; e siccome ogni caporale di partito credesi il solo atto a praticare le proprie idee, che egli crede le sole vere e giuste, tutti si fanno propugnatori della dittatura, perchè ognuno la spera per sè, non per ambizione, ma pour faire le bien, dicono i francesi, per educare il popolo, dicono gli italiani; epperò, comecchè il moderno socialismo fosse nato in Francia, non è la Francia più innanzi dell’Italia nella pratica di tali dottrine. Inoltre il compimento della sociale riforma deve in Francia superare ostacoli assai maggiori che in Italia, e perchè il grande sviluppo dell’industria, accumulando grandi capitali, ha creato potenti e numerose forze che resistono; e perchè bisogna ridonare la vita al comune, spenta affatto dall’unità francese, mentre in Italia essa è latente, ma vigorosa e pronta a svilupparsi. Quindi non solo l’Italia ha in sè probabilità di moto maggiori che la Francia, ma la soluzione del problema sociale è molto più facile ed omogenea all’Italia che alla Francia.

Seguiamo il confronto fra le due nazioni, e cerchiamo discernere per quale delle due, ammesso il moto, è più facile il successo. Parigi è la sola città della Francia ove l’insorgere è possibile; ivi, egli è vero, sono raccolti grandi mezzi di resistenza, ma il popolo parigino