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qualità; forza ed astuzia. Marco Bruto vicino a morte esclamò: Oh virtù, tu non sei che un nome, io ti seguiva come fossi cosa; ma tu sottostavi alla fortuna. Ingannavasi Bruto: essa non sottostava alla fortuna, ma ai tempi. L’antica Roma riverberava nel suo cuore le virtù già tramontate all’epoca di sua vita: esse erano sentite dall’universale come l’ultima e debole vibrazione di un suono che muore; alle virtù de’ Bruti erano successe le virtù de’ Cesari a cui la società destinava il trionfo.
Queste leggi magistrali della natura, svolte da Vico, da Beccaria, da Pagano, da Filangieri, da Romagnosi e dagli altri filosofi italiani non imbastarditi dall’eclettismo d’oltremonte, sono l’ordito su cui debbono adattarsi gli ordinamenti sociali, sono i veri che debbono dar norma a tutte le istituzioni; e noi su tali principii baseremo il ragionamento che segue.
Il fine che si propone la società nel costituirsi, altro non dovrebb’essere che assicurare il pieno e libero sviluppo di queste leggi, facendole tutte concorrere al pubblico bene. Se esse vengono violate o interdette nella benchè minima parte, l’opera non solo è tirannica, ma stolta, perchè invano combattesi contro le forze della natura.
Da questo vero il principio d’autorità viene completamente distrutto; chiunque vuole insegnarmi la virtù, costringermi a seguirla, è un impostore o un tiranno; un impostore se a convalidare le sue dottrine chiama in aiuto il misticismo, un tiranno se ricorre alla forza, e se non giovasi, o non può giovarsi di alcuno di questi due mezzi. Le dottrine de’ pittagorici, quelle di Platone, il manuale d’Epiteto, la morale del Vangelo, non hanno per tanti secoli non dico modificata, ma neanche scossa l’umana natura; gli uomini usando diverse parole hanno sempre operato nel modo mede-