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l’eccesso delle ricchezze, che si accumulano fra pochi, non produce danno minore: ingigantiscono le voglie, succede all’operosità l’ignavia, ed in putredine di vizii si marcisce. La società dall’ingiusto riparto delle ricchezze vien divisa in due parti, i pochi e i molti, e questi da quelli dipendenti; proclamare i diritti della democrazia è un’impostura, un’ipocrisia. Chi in buona fede può negare che i capitalisti ed i proprietarii sono i soli a cui è dato godere de’ diritti politici, che la società è governata dalla gretta aristocrazia dell’oro, inspiratrice della codarda e ruinosa politica moderna? Si rimedierà, dicono alcuni, a questi mali, con istabilire più eque relazioni fra il proprietario ed il fittaiuolo, fra il capitalista e l’operaio: sparirà la miseria, dicono altri, con lo sviluppo dell’industria, con l’aumento del prodotto sociale. Abbiamo discorso nei precedenti capitoli dell’efficacia di tali mezzi; è cosa chiara come la sostituzione d’un nuovo protezionismo all’antico riuscirebbe inutile tirannide, inutile inceppamento all’industria, e dimostrammo come la miseria cresce al crescere del prodotto sociale. Finchè i pochi sono proprietarii dei mezzi, onde soddisfare agli incalzanti bisogni de’ molti, questi saranno servi di quelli, qualunque siano le leggi; basta che esse riconoscano e proteggano il diritto di proprietà.

L’assicurare a tutti un’agiata esistenza, sarebbe al certo un mezzo efficace, ma ove cercare le ingenti somme? non potrebbesi che spogliare parte della società, per togliere all’altra ogni stimolo al lavoro; la società perirebbe; e riconoscendo il diritto di proprietà, come potrà mutilarsi, come limitarlo? non potranno essere che leggi complicate e contraddittorie, incentivo alla frode ed all’ingiustizia.

Non resterebbe che l’uguale riparto delle ricchezze, ma spaventati rispondono gli economisti: in Francia,